UN GRANELLO DI SABBIA

Di fronte a un’opera di Pierluigi Fresia, le sue immagini partecipate dalla parola si manifestano come una fotografia, un frame di un film che prende a scorrere, una pagina di un romanzo che inizia a leggersi. E anche l’udito si mette in allerta, come per cogliere una voce fatta di echi.

Un sentire plurale, che appartiene a una meta dimensione tra fotografia, cinema e letteratura, presente nell’istante in cui lo si vive, ma che è anche memoria, ricordo, perché evoca qualcosa di interiore nello spettatore, e lo porta dentro, lo impasta, ne fa l’ingrediente finale che rende unica quell’opera e quel momento. Li rende estremamente personali. Composizioni iconiche così intime per l’autore e per il suo pubblico allo stesso tempo, luoghi di incontro e condivisione, dove le tracce disseminate di Fresia si assommano e diventano catalizzatrici di altre, senza alcuna necessità di indagarle o svelarle, per empatia spontanea.

Sarà per questo che le opere, cioè le visioni di Fresia hanno sempre connaturato qualcosa di nostalgico, e, insieme, di eterno. Ma possiedono una sottile ironia che infrange il rischio della fissità contemplativa per attivare uno scarto vitale alla ricerca di significati altri, latenti, laterali, alternativi a un’interpretazione univoca e omologante del mondo, delle vite. Si tratta di uno scarto veloce come la luce. Un istante che si imprime come una traccia, che fissa l’istante stesso, perché il click è una cesura che distrugge il tempo prima e il tempo dopo, mi spiega Pierluigi. Un attimo del tempo umano sottratto alla presenza umana e riconsegnato all’infinito.

Il suo sguardo sulla realtà è uno stare sulla cresta dell’onda, tra una crescita e una frana continua, aggiunge, uno scandagliarne la dimensione inesausta di tracce infinite. Un gioco sulla realtà, sull’apparenza, sulla sua immagine che è profondamente falsa così come lo è la fotografia.

Perché la fotografia è una delle cose più bugiarde che esista, mi dice, la paragono a Orfeo, che quando si gira per guardare Euridice lei immediatamente sparisce, e il mio è un continuo girarmi e vedere Euridice per l’ultima volta.

Uno slittamento tra percezioni e linguaggi, tra codici visivi e alfabeti rende aperta la sua ricerca poetica ed estetica, così come la sua figura di artista, che rinasce in ogni opera. Proprio come esprime un suo lavoro, esemplare nella pratica di fusione complementare tra immagine e concetto: One died and two become artists.

Per me Pierluigi è uno scrittore, un intellettuale, e le sue opere sono romanzi, poesie visive dove il pensiero si fa però aforisma puro. Per esempio.

In effetti, tutto lascia supporre che queste parole facciano la loro comparsa solo adesso è uno spazio diradato all’interno di un bosco, un sentiero brullo e scosceso da cui è arrivato a valle un grande masso che ora appare in primo piano.

Pregò così forte che dio smise di esistere è un aereo che solca un orizzonte verso ovest, una variegata distesa plumbea, e sotto il mare, immobile anche lui, stessa tavolozza cromatica, mentre un piccolo pontile rettangolare sbuca nel lato basso dell’immagine.

Qualsiasi cosa accada mai avrà il tuo nome è una pietra scura in un bosco posta su un masso, come un altare, un totem, una sorta di lapide, di buco nero ritagliato che nega una porzione dell’immagine. Una pecetta sul nome e il ricordo di te, te che in ognuno assume un volto differente.

In 1982 when I was twenty the speed of light was 299792458 m/s è un cielo/orizzonte su cui si staglia la parte alta di una sottile antenna in ferro, punta lo spazio, sganciata dal suo contatto con la terra.

Immagini narrative che costituiscono perfetti incipit di romanzi, ognuna accende una storia da raccontare, da scrivere, che già vediamo negli occhi, che forse già conosciamo. A volte suggeriscono anche film immaginari, lavori dove scorrono titoli di coda di film che non esistono, con nomi di attori e ruoli completamente inventati.

Un dialogo bilanciato e preciso tra immagine e parola, una declinazione personale della pratica verbo visuale, estranea a un concettualismo astratto e razionale ma connotata dalla poesia, da una proporzione generale che aspira all’eleganza dell’equilibrio, al raggiungere un’armonia musicale dove i contrasti e le dissonanze rientrino in una perfezione melodica.

Infatti, i suoi lavori respirano in una condizione di bellezza raffinata eppure sono distanti dall’estetismo e dalla tentazione di una ricerca del bello fine a sé stessa.

Mi racconta che le sue immagini sono incontri casuali che mai più torneranno, in viaggio o nella quotidianità, una camera d’albergo e un aereo che passa davanti nel cielo di Corfù; sono suoi disegni fotografati e subito cancellati, gesso su una lavagna che lo accompagna da anni o composizioni di grafica digitale; sono pitture veloci, che conservano la rapidità del gesto, dell’impronta, dell’istante rappreso di nuovo; sono un ritornare costante su temi, la velocità della luce e i mobili accatastati negli hotel, per esempio, quasi ossessioni; sono luoghi, come un galoppatoio o un bosco dove basta una luce diversa, un suo umore diverso per farli essere sempre diversi, fonti che ancora non si sono esaurite.

D’altronde, Anche se qualcosa è passato di qui, la struttura dell’assoluto resta comunque irraggiungibile, recita un suo pensiero in dialogo con il corpo sferico di una mela dalla buccia che sfuma dal giallo al rosso, dalla sagoma che suggerisce la circolarità eterna del tempo. Uroboro vegetale.

Mi racconta che le sue frasi nascono da mille cose, capita che le sensazioni siano precedenti al concetto pulito, frasi che sono una cuspide su un mare di tutto, e che a volte ci siano idee che cominciano come la perla nella conchiglia, che parte come un granello di sabbia attorno a cui si addensa la materia. E che si rende conto come ogni singola cosa, ogni singola frase, altro non sia che tutte le frasi non dette, che quello che afferma altro non sia che la negazione di tutto quello che c’è intorno.

Galleria Visionquest4rosso

a cura di Olga Gambari

Lo chiamiamo granello di sabbia.

Ma lui non chiama sé stesso né granello, né sabbia.

Fa a meno di nome

generale, individuale,

instabile, stabile,

scorretto o corretto.

Non gli importa del nostro sguardo, del tocco

Non si sente guardato e toccato.

E che sia caduto sul davanzale

è solo un’avventura nostra, non sua.

Per lui è come cadere su una cosa qualunque,

senza la certezza di essere già caduto

o di cadere ancora. ………

Vista con un granello di sabbia, Wislava Szymborska

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